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Citomegalovirus: diagnosi, terapia e prevenzione

L’infezione da Citomegalovirus (CMV) costituisce la più frequente infezione virale congenita (cioè conseguita già durante la gravidanza) nei Paesi occidentali, con una prevalenza stimata tra lo 0,2 e il 2,4% dei nati vivi. I bambini nati con infezione congenita da Citomegalovirus possono presentare sin dalla nascita, o sviluppare nel tempo, alcuni gravi problemi di salute, tra cui sordità, cecità, ritardo neurocognitivo e convulsioni. Un recente studio clinico pubblicato sulla rivista PLOS One da un team di ricercatori dell’Università del Minnesota ha dimostrato che soltanto una donna su cinque tra quelle intervistate aveva, in precedenza, sentito parlare di Citomegalovirus, indipendentemente dall’aver già vissuto o no uno stato di gravidanza.

Diagnosi nel neonato

La diagnosi di infezione congenita da Citomegalovirus (CMV) avviene mediante una tecnica di biologia molecolare chiamata real-time PCR (reazione a catena della polimerasi), che permette di individuare la presenza del DNA di Citomegalovirus nelle urine o nella saliva; queste ultime devono essere raccolte entro le prime 3 settimane di vita del neonato, periodo corrispondente al tempo di incubazione del virus. È preferibile effettuare la ricerca del virus nelle urine, poiché la saliva può essere contaminata dal Citomegalovirus presente nel latte materno di una donna che già possiede gli anticorpi anti-CMV.

L’isolamento colturale del virus o la ricerca del CMV-DNA con PCR nel sangue, al contrario, può dare risultati falsamente negativi, perché la carica ematica virale alla nascita spesso è assente o molto bassa, inferiore alla soglia di sensibilità del test. Le IgM specifiche, cioè gli anticorpi presenti nel corso di un’infezione acuta da Citomegalovirus, risultano assenti alla nascita nel 30% dei casi.

Qualora non fosse stato possibile ricercare il CMV-DNA virale tramite urine o saliva del neonato entro le prime 3 settimane di vita, l’unica possibilità di diagnosi di infezione congenita risiede nel Dried Blood Test (DBS test). Il DBS test consente l’evidenziazione, mediante PCR, del DNA virale nei campioni di sangue neonatale essiccato su Guthrie Card (una particolare carta assorbente su cui vengono messe delle goccioline di sangue prelevate dal tallone del neonato). Tali campioni, dopo essere stati utilizzati per la diagnosi precoce obbligatoria delle malattie metaboliche ereditarie, tra cui la fibrosi cistica e l’ipotiroidismo congenito, vengono conservati per 10 anni presso il corrispondente Centro Regionale di Screening (in Lombardia si trova presso l’Ospedale Vittore Buzzi di Milano).

Terapia

La terapia dell’infezione congenita sintomatica da Citomegalovirus prevede la somministrazione, entro il primo mese di vita, di un antivirale per bocca, il valganciclovir, per almeno 6 settimane. Diversi autori hanno riportato che il prolungamento del trattamento per 6 mesi si associa a esiti uditivi e neurologici a lungo termine significativamente più favorevoli. Durante la terapia i neonati devono essere sottoposti a monitoraggio dapprima settimanale, poi mensile, di funzionalità renale, funzionalità epatica ed esame emocromocitometrico. In caso di neutropenia (riduzione del numero di neutrofili) severa (< 500 µl) il trattamento deve essere temporaneamente sospeso.

La terapia non risulta attualmente raccomandata per i neonati con sintomatologia lieve o con deficit uditivo isolato.

Prevenzione

Allo stato attuale non è disponibile alcun vaccino e non esistono misure preventive efficaci, a parte il rispetto di semplici norme igienico-comportamentali. Tutte le donne gravide che non possiedono anticorpi anti-CMV devono:

  • lavare spesso le mani con acqua e sapone per almeno 15-20 secondi;
  • evitare di baciare un bambino, specialmente in prossimità della bocca;
  • evitare di cambiare il pannolino a un bambino;
  • evitare di condividere bicchieri, posate, piatti e altri utensili da cucina;
  • evitare di condividere asciugamani;
  • evitare di condividere spazzolini da denti;
  • disinfettare giocattoli, ciucci, biberon e superfici potenzialmente contaminate da saliva o urine;
  • praticare sesso sicuro: l’utilizzo del preservativo durante il rapporto sessuale contribuisce a prevenire la diffusione del Citomegalovirus attraverso lo sperma e il liquido vaginale.

Secondo lo studio pubblicato sulla rivista PLOS One, l’80,7% delle donne intervistate ha riferito di compiere una o più attività che favoriscono la trasmissione del virus al feto, tra cui baciare bambini in prossimità della bocca (80,7%), condividere tazze (83,2%), condividere piatti e posate (82,2%).

I Centri per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie, comunemente conosciuti come CDC (Centers for Disease Control and Prevention), rappresentano uno dei più importanti organismi di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti d’America e un punto di riferimento mondiale in termini di prevenzione delle patologie infettive. I CDC sostengono che, se eseguito correttamente, il lavaggio delle mani è in grado di:

  • ridurre del 23-40% il numero di infezioni caratterizzate da diarrea, come quelle causate dal batterio Escherichia Coli, nella popolazione generale (riduzione del 58% negli immunodepressi);
  • ridurre del 16-21% il numero di infezioni respiratorie, come quelle causate dal virus dell’influenza o dal Coronavirus, nella popolazione generale;
  • ridurre del 29-57% il numero di giorni persi di scuola a causa di una malattia gastrointestinale nei bambini.

Le linee guida dei CDC per un’accurata igiene delle mani prevedono l’osservanza di 5 punti:

  1. bagnare le mani con acqua corrente pulita (calda o fredda), chiudere il rubinetto e applicare il sapone;
  2. intrecciare le mani e strofinarle insieme al sapone. Assicurarsi di insaponare il dorso delle mani, gli spazi tra le dita e le zone sotto le unghie;
  3. strofinare le mani per almeno 20 secondi.
    Hai bisogno di un timer? Canticchia la famosa canzone “Tanti auguri” per due volte consecutive, dall’inizio alla fine;
  4. sciacquare bene le mani con acqua corrente pulita;
  5. asciugare le mani con un asciugamano pulito o all’aria. Infine, chiudere il rubinetto con una salviettina di carta monouso.

Screening in gravidanza

Sulla base dei dati pubblicati in letteratura è possibile affermare che:

  • l’infusione di immunoglobuline iperimmuni nelle donne gravide non si è dimostrata efficace nel ridurre il tasso di infezione congenita rispetto al placebo;
  • l’ecografia effettuata in gravidanza ha una bassa sensibilità (inferiore al 25%) per individuare un’infezione sintomatica da Citomegalovirus alla nascita;
  • l’amniocentesi per la ricerca del CMV-DNA non è in grado di determinare la gravità dell’infezione congenita.
  • non si conoscono trattamenti prenatali efficaci e sicuri per prevenire la trasmissione dalla madre al feto dell’infezione né per ridurre le conseguenze di un’infezione congenita.

Per tutti questi motivi, le società scientifiche nazionali e internazionali sono concordi nel non raccomandare lo screening routinario dell’infezione da Citomegalovirus durante la gravidanza. Uno screening che non sia in grado di modificare il decorso della patologia non è raccomandabile poiché potrebbe avere conseguenze dannose in termini di ansia indotta, perdite fetali iatrogene e aumentata richiesta di interruzioni di gravidanza sulla base di probabilità di malattia e non di diagnosi.

Lo screening (effettuato mediante ricerca di anticorpi anti-CMV) è, invece, consigliato alle donne considerate ad alto rischio di infezione primaria, come le donne che sviluppano una sindrome simil-influenzale in gravidanza o che hanno un bambino che frequenta l’asilo.


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