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donna che urla al marito con problemi di udito

Per chi si rifiuta di indossare gli apparecchi acustici e liberarsi dalla sordità

L’apparecchio acustico è, spesso, ancora oggi uno stigma. Per alcune persone portare un apparecchio acustico è sentirsi menomati, diversi e ammettere di avere un problema. Gli apparecchi acustici sono oggi piccolissimi e quasi invisibili ma non sono ancora un complemento di abbigliamento, un oggetto fashion da mostrare, come è per gli occhiali ormai da qualche decennio.

La tendenza sta però cambiando negli ultimi anni. Lo testimoniano iniziative come quella di Mattel di produrre una Barbie con un coloratissimo apparecchio acustico retro auricolare rosa. L’intenzione è quella di favorire l’inclusione di piccoli pazienti ipoacusici che si sentono rappresentati da una bambola che assomiglia loro, ma anche di sensibilizzare gli adulti verso un handicap che si tende troppo spesso a nascondere.

Anche il modello e youtuber americano Chella Man, che ha perso l’udito all’età di 4 anni, ha disegnato nuove protesi gioiello da mostrare con orgoglio. Nonostante il suo impegno per l’inclusione delle persone sorde non è raro che negli shooting fotografici gli venga ancora chiesto di togliere l’impianto cocleare che indossa.

E ancora, è ormai di 8 anni fa la notizia di un papà neozelandese, Alistair Campbell, che si è fatto tatuare un impianto cocleare per amore della figlia, sorda dalla nascita e portatrice di un impianto cocleare ‘vero’.

Tanti sono i racconti simili a quelli di Alistair e di Chella Man in tutto il mondo e proprio in linea con quanto fatto recentemente da Mattel si è notato come i dispositivi colorati siano in grado di far accettare meglio la propria ipoacusia. Mettendo in mostra il proprio apparecchio ci si libera del pregiudizio di doverlo nascondere e si ottengono maggiori performance dalla propria protesi. Oggi anche gli apparecchi piccoli, che si nascondono all’interno dell’orecchio, fino a essere pressoché invisibili, hanno prestazioni di altissimo livello paragonabili agli apparecchi acustici retro auricolari, nonostante le loro ridottissime dimensioni.

Ma se da una parte ci sono esempi positivi, alcune persone ancora rifiutano l’apparecchio acustico e ancor prima rifiutano di ammettere la propria sordità. In Italia oltre 7 milioni di persone hanno una perdita uditiva, ma solo il 31% ha effettuato un controllo negli ultimi 5 anni e addirittura il 54% non lo ha mai fatto.

I rischi della sordità sono sottovalutati, nonché poco noti. Un’ipoacusia non curata porta all’isolamento sociale con conseguenti stati di ansia, depressione, fino alla comparsa di una demenza senile precoce. Il cervello non sottoposto agli stimoli uditivi si addormenta e invecchia prematuramente.

Le persone che rifiutano di curare la propria sordità e di applicare l’apparecchio acustico tendono a isolarsi, si sentono a disagio in mezzo agli altri, non potendo partecipare alle conversazioni. Sviluppano in generale un maggiore senso di tristezza, sono annoiati, depressi. Di contro chi ha invece deciso di indossare gli apparecchi acustici ha un miglioramento della qualità della vita, è più sicuro, indipendente, e ha maggiori rapporti sociali e una vita più attiva.

In media trascorrono sette anni dal riconoscimento del proprio deficit uditivo all’acquisto del primo apparecchio acustico. Anni che sono fondamentali per la salute del proprio cervello. Vivere così tanto tempo in una condizione di privazione uditiva ha delle conseguenze fisiche e neurologiche a volte difficili da recuperare, specie in età avanzata.

Il 97% di chi alla fine ha scelto di indossare l’apparecchio acustico si dichiara totalmente soddisfatto e nel 72% dei casi ha dichiarato che lo avrebbe dovuto acquistarle prima (dati EuroTrak Italy 2018).

Questo argomento, ovvero l’accettazione delle protesi acustiche, è stato l’oggetto della tesi di laurea di una studentessa in Tecniche Audioprotesiche che partendo da alcuni esempi positivi ha condotto una ricerca confrontando due gruppi di pazienti, il primo composto da persone con ipoacusia e il secondo di normoudenti.

I risultati dell’analisi mettono davanti due realtà differenti: dai due campioni si deduce che i soggetti ipoacusici, nella maggior parte dei casi, si sentono a disagio o comunque avvertono un rifiuto dell’utilizzo della protesi acustica.

Per abbattere questa forza negativa, è necessario un lavoro continuo di informazione e fidelizzazione da parte delle aziende e degli audioprotesisti. Un lavoro caratterizzato da un alto livello di professionalità ed efficacia che aiuta a inibire la risposta negativa e a focalizzare l’attenzione sulla soluzione al problema, sui vantaggi e sul miglioramento concreto ed effettivo della qualità della vita.

Controcorrente è invece nel campione dei normoudenti. Molti di essi non solo ricorrerebbero all’utilizzo della protesi, se gli fosse prescritta, ma sceglierebbero anche modelli colorati o decorati. Confrontando le domande del campione degli ipoacusici con quelle del campione dei normoudenti, è chiaro come la popolazione dei normoudenti, costituita per lo più dalle nuove generazioni, abbia idee molto più inclusive in materia di apparecchi acustici.

“Il fine ultimo del mio lavoro di tesi” scrive la studentessa “è sicuramente quello di far capire che è l’ipoacusia che dovrebbe essere considerata un disagio e non certo l’utilizzo della protesi.”

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